Vemeer. La ragazza con l'orecchino di perla


Mentre cercavo i colori per il mio mare mi sovvenne la ragazza con l'orecchino di perla e a come lo sguardo girava attorno a quella luce d'occhio glauco. Mi faceva pensare a mia nonna mentre, in casa, ci teneva riuniti attorno a un camino centenario affabulando e a te,  fermo accanto a me, mentre respiravi quella luce dallo stesso orecchino che ora indosso. Io sono nata per quel momento e per quegli altri ancora fermi nel tempo, mentre spazzole di sterpi catturano il mio sguardo, nella dimensione del non detto e non essere.

La ragazza con l'orecchino di perla, opera di Vemeer, ha ispirato il titolo dell'ononimo libro di Tracy Chevalier e il film da cui è stato tratto. Si dice di quell'aria  innocente e seduttiva posseduta dalla ragazza che, per ottenere quell'effetto, Vemeer faceva girare ritraendola, facendole contempo-raneamente socchiudere le labbra. E a come inoltre una leggenda abbia ispirato il libro e poi il film: un' attrazione che l'artista avesse nutrito per la modella.

Il dipinto, ad olio su tela, data 1665-66 e la centralità del quadro è catturata dall'orecchino e dalla luce che emana. La perla viene dipinta con due sole pennellate  e solo l'effetto ottico permette di vedere la perla intera.
Sembra inoltre che sia stato tratto da una fotografia, come si pensa per gli esperimenti che Vemeer compiva con i primi apparecchi fotografici. La camera oscura, i cui primi abbozzi risalgono al 1039 ad opera di un arabo erudito, sfruttava il principio che la luce, fatta penetrare attraverso un piccolo foro in una scatola oscurata, riproducesse l'immagine capovolta sulla parete opposta al foro di entrata.
Queste rudimentali camere oscure furono i primi esperimenti che portarono allo sviluppo dell'odierno concetto di fotografia e di videocamera.
Molti artisti usarono questa tecnica da Caravaggio, per lo studio della luce e ombra, a Leonardo, Canaletto, per i suoi paesaggi veneziani che venivano con precisione riprodotti sulla parete costituita da una tela, opposta al foro d'entrata della luce,  nella camera oscura in cui lavorava.
Vemeer ne fece uso per lo studio della luce e la messa a fuoco, introdusse così il concetto che, come in fotografia, esistono diversi piani di fuoco, e come tali alcuni piani, nelle sue opere, appaiano sfuocati

(Clotilde Alizzi)

Commenti

  1. Il primo paragrafo è di per sé un post intero. Emerge tutto un mondo, tutto il tuo modo di scrivere e percepire le cose, luce compresa. Il seguito è, come dice Monica, un apprendimento da aggiungere al mio esiguo bagaglio. Sempre bello leggerti.

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  2. Interessante tutto.
    Conoscevo sta cosa della camera oscura ma non sapevo che già alcuni ne facessero un uso così appropriato, e nei tempi di cui parliamo, tra l'altro!
    Grazie sempre.
    I tuoi post vanno a colmare certamente talune mie lacune.
    L.I.

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  3. Grazie dei commenti. Questo quadro merita più di un post. E' di una bellezza spettacolare. Piccolo come tanti suoi ritratti, curato nei dettagli come la tradizione fiamminga e olandese vuole, anche se siamo già nel '600. Bellissimo per la stoffa che sembra cangiante, lo sguardo di una innocenza disarmante, l'orecchino vivo e palpitante come averlo tra le mani, ad illuminare un volto e un dipinto che ruota attorno alla sua luce

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  4. Questo ritratto è uno dei miei preferiti. Ho letto il libro e visto il film. Ora leggo il tuo post bello e ricco di dettagli. Grazie Clotilde per il tuo modo elegante di esporre.
    Nina

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